(...) Quando comincia la storia dell'uomo occidentale, accanto all'Io entra in scena anche Dioniso.
Arriva dalla tracia, al di là dell'Ellesponto dove i cavalli del Sole cominciano il loro sfrenato galoppo lungo la curva del cielo.
Dioniso è una regressione e insieme un'anticipazione al di qua dell'uomo e al di là di esso,
è colui che vive tutte le vite, sangue pulsante, forgia e nostalgia dell'Essere dal quale fummo separati quando
l'Io emerse dalla natura. È sempre stato così? Non credo, ci deve essere stata un'epoca in cui eravamo ben poco
diversi dalle altre specie. Noi siamo in realtà la bestia che pensa il pensiero che erompe dal corpo, lo sovrasta
e lo frusta perché si adegui ai suoi comandi mentre i veleni della vecchiezza irrigidiscono i tessuti.
Tratto da: Tratto da: La Repubblica - di Eugenio Scalfari
(...) Dioniso nasce dall'unione di Semele (figlia del re tebano Cadmo e della sua sposa Armonia) con Zeus; quest'ultimo cerca in tutti i modi di nascondere la relazione alla gelosa Era, la quale, scoperta la tresca, suggerisce a Semele di chiedere a Zeus, che le si mostrava sempre in sembianze umane, di manifestarlesi nella sua vera natura. Zeus in un impeto d'ira si palesa in forma di tuono e folgore incenerendo l'amante nel cui grembo giaceva il piccolo Dioniso. Ermes, tuttavia, riesce a salvarlo 'cucendolo' nella coscia di Zeus. (Si noti come fra le tante interpretazioni etimologiche del nome di Dioniso vi sia quella che lo intende come 'nato due volte', o anche come il 'figlio della doppia porta': etimologia quest'ultima che si è voluta ritrovare anche in 'ditirambo').
Tratto da: mondodomani
(...) Tra Apollo e Dioniso non c’è una guerra, come vogliono far credere mitologi e fideisti, c’è piuttosto un rapporto di luci ed ombre. Dioniso ha un aspetto androginico, cioè è di sesso maschile, però ha capelli lunghi, un viso molto bello che rappresenta la bellezza femminea. Resta il fatto che Dioniso non è un dio, non nasce dio; nasce uomo e viene divinizzato. Quindi abbiamo un Apollo che scende e si umanizza, e un Dioniso che è un uomo, si divinizza, e sale quanto può e quanto vuole, e in questo senso sono complementari fra loro.
Tratto da:
scenaillustrata
(...) Il culto di Dioniso è tradizionalmente associato al furore e all'invasamento, o meglio ancora alla theia manìa che porta il fedele, attraverso un rito ambiguo e terribile, a un'esperienza di smarrimento della propria identità, per cui egli precipita in uno stato odiernamente detto trance, dai Greci ékstasis ('uscire fuori di sé) o enthousiasmòs ('essere invaso dalla divinità'). La cosiddetta manìa viene quindi vista come conseguenza dell'intervento divino, in alcuni casi per vendetta in seguito a un conflitto (in questo caso si parla più precisamente di Ate), ma per lo più per una volontà di rivelarsi, da parte del dio, e di apprendere, da parte del mortale.
Tratto da:
ospitiweb.indire.ita
(...) Toccherà poi a Nietzsche far conoscere ai più il contrasto tra la visione apollinea e quella dionisiaca della vita.
Nella Nascita della tragedia (1871) il filosofo, per spiegare il miracolo della Grecia, ricorderà che la prima governa l’arte plastica, l’armonia di ogni schema; la seconda, invece, domina la musica, la quale non conosce forme e necessita di ebbrezza, entusiasmo. Nei suoi frammenti ultimi, conosciuti come Volontà di potenza, lo spirito dionisiaco diventa il fondamento dell’arte: forse perché, per Nietzsche, soltanto grazie ad esso fu possibile ai greci sopportare la vita.Ma qui il discorso si amplia a dismisura e si dovrebbero affrontare i motivi di questa tesi estrema. Basterà, tra i molti, rammentare il miracolo più bello compiuto da Dioniso: la trasfigurazione dell’orribile e dell’assurdo in immagini ideali, rendendo così accettabile agli uomini l’esistenza.
Tratto da:
corriere
(...) Religiosamente le energie emozionali venivano volte verso la conoscenza religiosa, il seguace di Bacco si proponeva ‘misticamente’ di divenire una sola cosa con il suo dio poiché amandolo ed invocandolo si ‘fondeva’ con Lui. In uno stato di beatitudine supremo diveniva egli stesso Dioniso così come due amanti che quando si fondono nell’estasi d’Amore non sono più due ma un solo Essere.
Tratto da:
accademia Platonica
(...) Accanto alle feste dionisiache della polis si svilupparono in Grecia i misteri privati di Dioniso;
culto esoterico, che al contrario di quello essoterico, che è rivolto a tutti, è riservato a pochi.
Il culto si celebra di notte e vi si è ammessi attraverso un'iniziazione individuale, la teleté.
Simbolo del misterioso, dell'esclusivo, dell'aldilà, diventa la grotta o la caverna bacchica,
in cui si cela Dioniso, Dio della vegetazione, dell'uva e del vino.
Presso i Latini era conosciuto come Baccus o Liber Pater.
Tratto da:
romanoimpero
“Noi voghiamo in un vasto mare, sospinti da un estremo all’altro, sempre incerti e fluttuanti. Ogni termine al quale pensiamo di ormeggiarci e di fissarci vacilla e ci lascia. Nulla si ferma per noi. E’ questo lo stato che ci è naturale e che, tuttavia, è più contrario alle nostre inclinazioni. Noi bruciamo dal desiderio di trovare un assetto stabile e un’ultima base sicura per edificarci una torre che s’innalzi all’infinito; ma ogni nostro fondamento scricchiola, e la terra si apre fino agli abissi”.
Tratto da:
(Pascal, 1967, 223, pp.102-103)
(...) Da questa distinzione sembrano, secondo alcuni, derivare i due appellativi della divinità: Bacchos, cioè colui che causa la pazzia, ma anche Lysios, colui che libera dalla pazzia, il che permette di accostare il menadismo 'bianco' al ballo di San Vito e a altri riti simili.
La morale della tragedia, per chi interpreta in questo modo, è dunque quella di non reprimere gli istinti primigeni della propria natura, per evitare che essi travolgano repentinamente gli argini interni imposti dalla civiltà.
Vale la pena di sottolineare altri due tratti caratteristici delle menadi di Euripide: in primo luogo, si dice, in questa e in altre fonti, che le menadi tengono il capo inclinato all'indietro, talora scuotendo i capelli; non si tratta di una semplice convenzione iconografica o descrittiva: le baccanti si atteggiano in questo modo proprio perché la loro è una forma di follia collettiva e tale portamento è comune a altre civiltà nelle medesime occasioni nonché a casi patologici di isterismo individuale. In secondo luogo, un'altra caratteristica su cui gli autori classici insistono e che può essere rilevante per accostare il menadismo all'isteria è il fatto che alle baccanti, durante lo stato di eccitazione isterica, siano estranee le sensazioni di dolore.
Così il genio diventa fenomeno dionisiaco:
[Nel genio] dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco,
il quale ci rivela ogni volta di nuovo il gioco di costruzione e distribuzione del mondo individuale
come l'efflusso di una gioia primordiale [La nascita della tragedia].
Questo rivelerà, in ultima analisi, la natura dell'arte,
tragica soprattutto, come liberazione del e dal dionisiaco
[per questo cfr. G. Vattimo, Il soggetto e la maschera,
Milano, 1974, cap. 2], come prolungamento, all'interno
delle definite individuazioni proprie della bella
apparenza apollinea, della forza dirompente del dionisiaco.
In tale prospettiva si delineerà allora anche il rovesciamento della
prospettiva schopenhaueriana dell'arte come sospensione della e fuga
dalla individuale volontà di vivere, che costituisce uno degli elementi
di originalità nella posizione del giovane filologo rispetto alla figura del venerando filosofo.
Gli effetti, le cose molteplici fanno sentire che sono l’espressione di un’unità. La molteplicità non è apparenza ma è essenziale all’apparenza ed in essa colgo l’unità. Non c’è altro essere che quello della molteplicità, delle differenze, del divenire, la leggerezza del pensiero è essere molteplici nel sensibile., l’innocenza di giocare a frammentare il tutto[23]. Scrive Nietzsche: “[…] Non ci sono momenti isolati: la più piccola cosa regge il Tutto […] Forse il Tutto è composto da semplici parti insoddisfatte […] infatti pretendere che una cosa sia diversa da quella che è significa pretendere che tutto sia diverso – implica criticare il Tutto e riprovarlo. Ma la vita stessa è un simile desiderio!”[24]
In Nietzsche il singolare ha in sé la legge universale, è l’oggetto che crea la propria legge, ogni opera è nuova, in essa si dischiude un modo nuovo di vedere, di sentire, che parte dalla singolarità: una creazione nell’immanenza.
(...) Apollo non è il dio della misura, dell'armonia, ma dell'invasamento, della follia. Nietzsche considera la follia come pertinente al solo Dioniso, e inoltre la circoscrive come ebbrezza. Qui un testimone del peso di Platone ci suggerisce invece che Apollo e Dioniso hanno un'affinità fondamentale, proprio sul terreno della «mania»; congiunti, essi esauriscono la sfera della follia, e non mancano appoggi per formulare l'ipotesi - attribuendo la parola e la conoscenza ad Apollo e l'immediatezza della vita a Dioniso - che la follia poetica sia opera del primo, e quella erotica del secondo.
Tratto da:
iissdesanctis
(...) In due stati, difatti, l’uomo raggiunge il sentimento estatico dell’esistenza, nel sogno e nell’ebbrezza. La bella illusione del mondo del sogno dove ogni uomo è artista pieno, è madre di ogni arte figurativa e altresì come vedremo, di una metà importante della poesia. Noi godiamo in una comprensione immediata della figura, tutte le forme ci parlano; non vi è nulla di indifferente e di non necessario. Nella vita suprema di questa realtà di sogno traluce ancora tuttavia il nostro sentimento della sua illusorietà solo quando cessa questo sentimento, si presentano gli effetti patologici, in cui il sogno non ristora più e cessa la forza naturale risanatrice di quello stato. Entro tale limite non sono tuttavia soltanto le immagini piacevoli e benigne a essere da noi ricercate con quella perspicacia universale in noi stessi: anche ciò che è serio, triste, torbido, oscuro viene contemplato con la stessa gioia, senonché anche qui il velo dell’illusione si muove svolazzando e non può nascondere totalmente le forme fondamentali della realtà. così mentre il sogno è il gioco del singolo uomo con il reale, l’arte dello scultore (in senso ampio) è il gioco con il sogno.
Tratto da:gabriellagiudici
(...) A uno sguardo che sfronda le apparenze, la mitologia è infatti stata, e continua a essere, reiteratamente e pesantemente
abusata dal discorso scientifico. Vi si attinge a piene mani nonostante sia spesso conosciuta in maniera assai superficiale,
limitandone l’utilizzo – perché di questo si tratta – al valore apodittico, logico e chiarificatore che può assumere.
Il mito è diventato ormai un mero strumento, uno strumentoaccessorio, e cioè tanto integrativo e complementare quanto secondario. Lo si tratta come una chiave inglese estratta da una cassetta degli attrezzi che, rispetto al ricercatore, appare supplementare e non, come dovrebbe essere, primaria, archeologica, originaria e incarnata. Crediamo di potercene servire a nostro piacimento,
come tanti novelli
prometeo
, e, così facendo, già cavalchiamo la misinterpretazione stratificata di questo mito, senza tenere conto che Prometeo non reca affatto in dono agli uomini una tecnica, bensì un’arte, nel senso più ampio del termine: l’arte di essere umani, inclusiva di un insieme di tecniche ma non riducibile ad esse2. Io stessa mi attengo, qui, a una simile visione riduttiva e falsata del mito perché – aspetto questo interessante – essa, reiterata nel tempo, è divenuta quella più diffusa e riconosciuta, maggiormente familiare e stabilizzata.
Tratto da:unimib (RICUCIRSI CON DIONISO ... Dott.ssa Alessandra INDELICATO)